E’ possibile visitare la Confraternita di San Francesco, oltre che in occasioni speciali quali il “Saliscendi” e “Città aperte”, ogni domenica dalle 15,00 alle 18,30 oppure su prenotazione presso gli uffici comunali.
Tel.0172 478023
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VISITA GLI AFFRESCHI
Il presente saggio è tratto dal dattiloscritto compilato nel 1948 dal
segretario comunale Mario Rosati - “Appunti storici sulla confraternita di San Francesco d’Assisi in Santa Vittoria d’Alba con brevi
accenni sulla confraternita di Santo Spirito”.
Esso rappresenta la prima relazione esistente su una visita fatta alla chiesa della
CONFRATERNITA DI SAN FRANCESCO D’ASSISI
La confraternita non si è sempre chiamata così. Un tempo era detta…
CONFRATERNITA DI SANTO SPIRITO
Gli atti municipali parlano di una confraternita di Santo Spirito che esercitava opere di carità,
distribuiva pane e grano ai poveri, visitava gli infermi ed assegnava doti alle pupille erogando il
frutto di vari terreni coltivati a grano che essa amministrava. I terreni erano in tutto o in parte
proprietà di un’antica “fattoria” di Santo Spirito, la quale avrebbe assunto in seguito il nome di Val
di Spinzo.
La confraternita esercitava la beneficenza nella omonima “casa” di Santo Spirito, dove si riuniva
un Consiglio. La Municipalità procedeva alla nomina annuale dei “massari”.
Dal Registro degli Ordinati del 1588, “alli primo di gennaro” si rileva che: “[…] si è peruenuto
[…] Alla deputazione de’ massari della confraternita di Santo Spirito, chiamandovi li Consiglieri
Petrino Vignola et Giovanne Violoso.”
La confraternita era sorta nella seconda metà del secolo XIII. Le tracce della sua esistenza si
perdono quando già era nata e fioriva da oltre un secolo - non si conosce esattamente quando -
quella che assunse il nuovo nome di…
CONFRATERNITA DI SAN FRANCESCO D’ASSISI
Il segretario Rosati ipotizza che la nuova “confraternita di San Francesco” abbia fruito della
stessa “casa” di Santo Spirito e abbia continuato a esercitare la beneficenza, a compiere opere di
misericordia e a rifocillare i pellegrini di passaggio attingendo alle rendite dei beni della fattoria di
Santo Spirito. Tali beni consistevano, come già accennato, di terreni della Comunità
magnanimamente destinati alla beneficenza pubblica e, qualora superiori interessi lo avessero
richiesto, alienati - ad esempio per la costruzione, nel 1703, della nuova chiesa parrocchiale.
La nuova confraternita era retta da un “cappellano” dipendente dal parroco. Sappiamo che nel
1593 fu eletto cappellano il reverendo “padre fratte Giovanni Antonio di Cherasco” il quale venne
per giunta nominato, il 27 luglio dello stesso anno, maestro di scuola con il salario di “scudi diciotto
di fiorini otto l’uno”.
Nella Patente emessa il 1° maggio del 1535 dal Vescovo-conte d’Asti monsignor Scipione
Roero, si parla di un oratorio di San Francesco in cui si riuniva la congregazione - o confraternita -
dei Disciplinanti.
Sotto la protezione di Santa Margherita da Cortona, nella stessa chiesa si
raccoglieva anche la compagnia delle Umiliate.
Nella sua opera che - si ricorda - risale al 1948, il segretario Rosati scrive:
“Gli anziani del paese ricordano che a sinistra della porta attuale d’accesso alla Chiesa esisteva
un affresco, ora coperto di calce, raffigurante un corteo di Umiliate e Disciplinanti nelle loro antiche
uniformi. Tutta la facciata orientale della Chiesa era anticamente affrescata.”
Aggiunge il segretario: “Le Confraternite dei Disciplinanti e delle Umiliate sono antichissime. I
Disciplinanti erano considerati i difensori del Cattolicesimo. Vestiti di sacco e cinti di fune talora
portavano bastone od arma per fugare i disturbatori delle funzioni sacre, specie al tempo degli
eretici. Esercitavano opere di carità e di pietà. Durante la Pasqua facevano varie processioni per la
benedizione dei frutti della terra. Al giovedì Santo, dopo la lavanda dei piedi che praticavano sempre, si portavano in processione cogli strumenti allusivi alla Passione. Nei giorni di festa, prima
delle funzioni in Parrocchia, si adunavano in Oratorio per il Canto degli Uffici. Le Umiliate
appartenevano ad ordine ancora più antico. Troviamo riunita per la prima volta questa Religione nel
1134, in Milano, da S. Bernardo, l’Abbate di Chiaravalle. S. Carlo Borromeo ebbe particolarmente
a disciplinare, quale Arcivescovo Milanese, la prima Congregazione, determinandone nuove
regole.
”
In seguito alla rivoluzione francese anche la confraternita di San Francesco, come tante altre,
rischiò di essere soppressa, ma nel nostro caso il fatto in pratica non si avverò.
L’oratorio, o chiesa di San Francesco, è un edificio a pianta rettangolare orientata da sud a nord,
con abside a prisma irregolare. L’attuale ingresso è a levante. Annesso alla chiesa è un campanile
mozzo (1) a pianta quadrata, attraverso il quale si scendeva a una camera volta a mezzogiorno.
Il campanile mozzo, detto “torre campanaria” fu, nel passato, un’opera dell’antibaluardo del
castello. Lo conferma il fatto che possiede ancora oggi due feritoie tonde (otturate) e una verticale.
Sotto la chiesa si apriva una cantina che il vescovo di Asti ordinò nel 1744 di chiudere affinché
non vi si potesse accedere dalla chiesa.
“Gli anziani del paese” osserva il segretario Rosati “son concordi nell’affermare che l’attuale
vano interrato servisse anticamente a ricetto e conforto dei pellegrini e che ad esso si accedesse
direttamente da una porta a mezzogiorno che serviva pure per l’ingresso alla Chiesa. Fuori correva
una stradetta all’ombra dei fichi.”
In molte occasioni, nella confraternita di San Francesco venivano celebrate le funzioni sacre.
Esse vi furono sistematicamente officiate, in particolare, nel periodo dal 1779 al 1780, durante i lavori dei pittori eseguiti nella parrocchiale. Sull’altare della confraternita si poteva ammirare, nel passato, un’icona che il vescovo di Asti
monsignor Ottavio Broglia, nella sua visita del 1626, definì “pulcra” (la “pulcra Icone”) e ordinò
che fosse protetta da veli. Di tale icona tratteremo a parte, quando parleremo del suo autore, il
pittore Macrino d’Alba. Ci limitiamo a precisare che essa non è più collocata nella primitiva sede
della confraternita; la si può ammirare invece nel terza cappella della chiesa parrocchiale, alla
parete destra.
“L’icona” afferma il segretario Rosati “ha ai lati altri dipinti di minor pregio. Quello a destra
raffigura Santa Lucia e quello di sinistra, della stessa scuola, probabilmente, S. Defendente
(venerato nell’albesano) rilevato in uniforme di legionario romano, ammantato di rosso, poggiante
la destra palmata su ferreo scudo, genuflesso, retto a manca dall’insegna segnata S.P.Q.R.
“Santa Lucia regge a sinistra la palma coi gigli e poggia la destra sul cuore. Un Angelo porge su
un aureo vassoio gli occhi rapiti alla Santa. Il trittico sovrasta l’altare cui s’accede per ampia
gradinata in pietra a tre piani poggiante su basamento in cotto sopraelevato di altri due scalini. È in
muratura ben stuccata vivacemente dipinta. Ha poche ornamentazioni in oro laminato sul
Tabernacolo.”
Dei due “dipinti di minor pregio” del trittico, i quali facevano mostra di sé ai lati della “pulcra
Icone” nel 1948, pare non sia rimasta oggi traccia.
Si precisa, a questo proposito, che “l’icona” del Macrino fu trasferita dalla confraternita di San
Francesco alla chiesa parrocchiale dopo il 1966, nel periodo in cui prestava servizio a Santa Vittoria
d’Alba il signor Amedeo Castagnotti , segretario comunale dal 1966 al 1985.
“Nel coro fa mostra un vecchio armadio di legno alto tre metri e largo 1,50 a due battenti
interrotti, nero, con decorazioni stampate in bianco e canarino.
“Sempre nel coro troviamo la riproduzione incompleta di una serie (15 per 10) di rami della
Klamber Cath, scolpiti da C. G. Rohbausch che glorificano le litanie della Vergine e rappresentano
santi. Sono decorative e di buon pregio.
“Particolarmente interessante e bella è la Tribuna ove solevano congregarsi i confratelli per gli
uffici. Nel cotto di cui è coperta è visibile un tegolone di tomba romana. Altri si trovano all’ingresso
della Chiesa. La tribuna è sorretta da sette grosse travi sagomate; con decorazioni in bianco, nero e canarino. Richiama nel suo complesso, coi listelli paralleli di legno a cassettone ed incastro, quei
tipici esempi del Rinascimento di tanto pregio storico e particolare beltà.”
Qualcosa oggi è cambiato, come può notare chi visiti oggi la confraternita. Si rammenta che il
segretario scriveva nell’anno 1948.
“Su questa tribuna, oltre ad un banco antico sono ancora esposte due vecchie tabelle; quella degli
‘Officiali della veneranda Confraternita dei Disciplinanti’, costituiti da un Priore, un Sotto Priore,
un Maestro di Novizi, nove assistenti al Banco, più i catechisti, i Consiglieri ed i Visitatori degli
Infermi; e quella dei ‘Confratelli’, i quali, ancora al tempo del Prevosto Don Giovanni Sicca, erano
ben 150. Nessuna tabella abbiamo della Confraternita delle Umiliate. Sulla tribuna esiste un vecchio
Crocefisso.
“Nel vano della torre venne eretto un Castello per campana nel 1796. La campana attuale è del
Vallino, braidese, del 1828, intestata alla ‘Socitas Santi Francisci loci S. Victoriae.’
“La Confraternita dei Disciplinanti aveva […] molti legati ancora descritti in una tabella
conservata nell’armadio del coro, cui ci rimandiamo.
“Il Pulpito in legno, del secolo XVII è di buona fattura senza avervi pregio particolare.
L’acquasantino è una moderna coppa di marmo bianco levigata.”
Passiamo adesso all’argomento di principale interesse: gli affreschi.
“Quelli che particolarmente ci interessano” scrive il segretario Rosati “sono quelli esterni e della Passione. Quelli invece di S. Rocco e S. Lucia, di cui sono ornate le colonne latistanti l’altare non
hanno valore.
“Non comprendiamo come questi affreschi, pur così belli, siano stati per tanto tempo ignorati.
Solo recentemente essi sono stati oggetto di studio. Il Ministero della pubblica struzione
s’interessava dell’icona fin dal 1892, e solo nel 1909 dichiarava gli affreschi ‘Monumento
Nazionale’. Il relativo documento che reca la data del 27 agosto 1909, conservato in Parrocchia,
dice testualmente: ‘La Cappella della Confraternita (affreschi dei secoli XV e XVI) è monumento
pregevole d’arte e di Storia.’ Questi affreschi sono catalogati nella pubblicazione del Ministero
della P. I. del 1914, sugli Edifici Monumentali della Nostra Provincia.”
Per l’esame dei singoli quadri del ciclo della Passione si rinvia alle limpide fotografie e alle
didascalie che le illustrano. È sufficiente “cliccare” sull’affresco della Crocifissione, riprodotto qui
a lato.
Per completezza di trattazione si riporta, di seguito, la descrizione che dei quadri del ciclo della
Passione fece il segretario Mario Rosati:
“Gli affreschi interni iniziano a sinistra dell’altare, dopo la colonna, per terminare alla sua destra,
dopo aver spaziato in tutte le pareti, uniformemente, all’altezza di m. 1,50 dal pavimento, fin sotto
la tribuna, per una lunghezza complessiva di m. 34,50 e la profondità di m. 1,80.
“Il primo é quasi totalmente ricoperto da ripetuti strati di calce. In alto a sinistra si scorge il viso
del Redentore e sotto a destra la testa di una cavalcatura? Rappresentava l’entrata in Gerusalemme.
“Il secondo, coperto come il precedente però solo nella parte superiore, descrive l’Ultima Cena.
L’artista colloca il Redentore a destra della Mensa. Gli Apostoli, assisi, volgono a Lui lo sguardo.
La bella scena ha sofferto, specie nel volto del Redentore, di un ritocco male eseguito.
“Il terzo rappresenta la Lavanda dei piedi. Il volto del Redentore é pure sfigurato dal ritocco.
Molto espressivi alcuni Discepoli assorti in orazione.
“Il quarto, sopra l’attuale ingresso, di squarcio, é di buon effetto. Giuda contratta il tradimento
coi grandi sacerdoti. Si esamina bene socchiudendo la porta di entrata.
“Il quinto, indecifrabile, per la calce sovrappostavi, probabilmente sceneggia la Preghiera e la
veglia al monte Oliveto.
“Il sesto riporta la scena del bacio di Giuda. Espressivo Simon Pietro che brandisce la spada.
“Il settimo é letteralmente coperto di calce.
“L’ottavo, pure coperto a sinistra, raffigura l’arresto di Gesù e lo scherno dei giudei.
“Il nono richiama il processo religioso con Anna e Caifa. È di buon risalto e trasparente purezza.
“Il decimo, bellissimo, rappresenta il rinnegamento di Pietro. Forse é uno dei migliori; alla sua
destra é figurata la flagellazione alla colonna.
“L’undicesimo raffigura Gesù insultato, deriso e coronato di spine.
“Il dodicesimo, che é guastato dalla successiva apertura di una finestra, rappresenta la condanna
di Gesù al giudizio civile. Ha intonazione particolarmente solenne la scena: Ecce Homo.
“Il tredicesimo, riuscito nei colori singolarmente e nei movimenti, sebbene incrinato al centro,
descrive la via dolorosa al Calvario. Molto umanamente espressa la costernazione della Madonna
ed espressiva l’impiccagione di Giuda.
“Il quattordicesimo, vivace al pari del precedente se pur meno movimentato, ma molto originale,
rappresenta la Crocifissione.
“Il quindicesimo, fronteggiante l’ingresso, é l’affresco più dominante e solennemente grandioso.
Rappresenta con particolare espressione la morte di Gesù sulla croce. Armonioso é il gruppo delle
Pie donne e molto profonda l’angoscia della Vergine.
“Il sedicesimo, di buon effetto, riporta la Deposizione.
“Il diciassettesimo, quasi coperto dalla calce, raffigura la sepoltura secondo il rito ebraico.
“Il diciottesimo, col quale termina la serie, tutto coperto di calce e sormontato dal Pergamo,
rappresentava la Resurrezione. È solamente visibile la parte del Sepolcro.”
“Altrettanto belli” prosegue il segretario “sono i pochi residui affreschi esterni che decorano il
lato orientale della Confraternita. È ancora visibile sopra e a destra dell’attuale ingresso, l’Eterno in
Maestà ai cui piedi sorride la soave immagine di un Angelo benedicente.
“Quasi tutti gli affreschi originali mantengono ancora il carattere della loro purezza e, colla
vivacità che li distingue, danno buona evidenza alla scena, con buon risalto alle figure.
“Anticamente era affrescata tutta la parete esterna della Chiesa volta a Levante.
“Non vi sono affreschi nel Coro e tanto meno ne risultano nei vani addossati alla Confraternita.
“Siamo propensi a ritenere che la Scuola degli affreschi esterni sia evidentemente diversa da
quella degli interni alla Chiesa. Lo stile e la forma sono troppo dissimili tra di loro. Così come
riteniamo di non andare errati nel supporre che gli affreschi interni siano di un periodo molto
anteriore degli altri.
“Internamente l’artista si è molto ispirato agli usi e costumi giudaici e romani del tempo.”
“Il modo nel quale sono espressi certi particolari é espressivo e significativo: citiamo ad
esempio la impiccagione di Giuda coi diavoli che gli dilatano le viscere, e la morte del brigante
bestemmiatore esalante l’anima renitente ad essere involata dal demonio, che si riscontrano in altre
località con pressoché uguali caratteristiche.” (2)
Il segretario Rosati prosegue:
“Ci siamo anche soffermati ad analizzare dettagliatamente altri particolari di questi affreschi e
questo esame ci porta alle seguenti ulteriori personali considerazioni:
“Nel primo la figura del volto e della mano del Redentore é di finissima linea e di dolcissima
fattura.
“Nel secondo, riteniamo dello stesso pennello la testa di Giuda molto espressiva nello sguardo
del tradimento.
“Nel terzo presupponiamo che l’Apostolo seduto ed i due primi in piedi, colle mani incrociate
sul petto, siano di uguale artista dei precedenti. Molto particolarmente serafica é l’espressione del
primo Apostolo diritto, che é in tunica rossa.
“Il volto di Giuda del quarto, di lineamenti uguali al Giuda del secondo affresco, la sua mano
espressiva elevata nel sacrilego giuramento e la figura del gran sacerdote sono bellissime e di
caratteristiche del tutto conformi a quelle dei precedenti affreschi.
“Nel sesto sono particolarmente espressive la faccia di Giuda che tradisce il Redentore e di
Pietro, che pure riteniamo dello stesso pennello dei precedenti.
“Nel dodicesimo il volto del Redentore e del pretoriano retrostante, nella scena ‘Ecce Homo’
sono a ritenersi pure del medesimo artista.
“Nel tredicesimo molto bello è il volto del Redentore col gruppo delle Pie donne che Lo
seguono. Di ugual pregio e pennello è la Madonna. Molto rappresentativo è Giuda impiccato
esprimente in volto tutta l’amarezza del rimorso confusa allo strazio della orribile morte.
“Nel quattordicesimo il volto del Redentore, pure lambito da una incrinatura é bellissimo. Vivo
ne è lo sguardo addolorato. Molto espressiva la faccia del crocefissore che é quasi uguale al
flagellatore di sinistra dell’affresco undicesimo.
“Il quindicesimo ha il pregio particolare di avere tutte le figure uniformemente belle, dando
risalto all’espressione dolorosa del Redentore ed al gruppo delle Pie donne. Chicchessia non può
fare a meno di ammettervi la mente creatrice e la mano perfetta di un artista.
“Nel sedicesimo, bello e dello stesso tocco, sono l’espressione ed il movimento del servente che
estrae i chiodi, l’abbandono del Redentore inanimato ed il gruppo delle Pie donne.
“Questo esame ci induce logicamente alle seguenti personali considerazioni:
“I migliori affreschi sono senza dubbio quelli delle pareti di mezzogiorno e di occidente. Questi
ultimi i meglio conservati.
“Quelli della parete di oriente, per la maggior parte, come già esaminato, hanno molto sofferto di
ritocchi incompetenti.
“Tutti gli affreschi sembrano originariamente di un solo autore per le figure di primo piano. Una
eccezione si potrebbe, volendolo, sollevare per il decimo affresco, nella scena del tradimento di
Giuda, che a prima vista parrebbe appartenere ad altra scuola. Un preciso confronto con le
caratteristiche somatiche di questo S. Pietro con quelle degli altri, potrebbe però anche escludere
questa ipotesi.
“In molti affreschi notiamo che le scene di primo piano sono più perfezionate e curate delle altre
scene secondarie.
“Infine, se non pecchiamo in pedanteria, rileviamo che una stessa figura talora presenta i
caratteri di due pennelli diversi, a meno che non si possa intendere che un ritoccatore abbia
ripassato le figure di che trattasi con prudenza e senso di responsabilità non comuni, rispettando
cioè gli originali per lo meno nelle loro parti principali, e limitando la sua opera alle tuniche ed ai
piedi.
“Peccato che altrettanta prudenza e generosità non sia stata osservata negli affreschi della parete
di Oriente.
“Questa lunga premessa ci lascerebbe presupporre che in linea di massima le figure di primo
piano siano dovute al pennello di un Maestro e che quelle invece di secondo e terzo piano siano
state forse completate da un discepolo collaboratore.
“Il tutto però non lascia dubbio che nella piccola Chiesa del nostro paese abbiamo una vera opera
d’arte del Rinascimento, che le competenti Autorità andranno a gara nel mantenere con quel decoro
e quella cura particolare che si addicono ai Monumenti Nazionali.
“Anche tutti i piccoli particolari della tribuna rivelano l’opera d’arte.
“Noi abbiamo esaminato accuratamente i cassettoni che la compongono e rilevato che tutte le
decorazioni che vi sono dipinte sono tutte diverse nel loro motivo ornamentale, il che sfugge
all’esame superficiale.
“Anche questa minuzia dimostra la cura posta nella ornamentazione e che ci troviamo di fronte
ad un gioiello che abbiamo il dovere di conoscere e di conservare.
“Ritornando ai nostri affreschi della Passione e soffermandoci ancora all’esame del più
dominante, la Morte del Redentore, ci vien da pensare che il nostro autore si sia ispirato alla
magnifica e solenne ‘Crocifissione’ dell’Avanzo da Verona, del secolo XIV, esistente nell’oratorio
di S. Giorgio da Padova. Il Redentore ed i due ladroni col gruppo delle Pie donne ed altri particolari
ci spingono a questa considerazione.
“Conferma il Serra nel trattato sulla ‘Storia dell’Arte Italiana’ che generalmente l’artista
principale lavorava le parti più importanti ed affidava l’esecuzione dei fondi, del paese e degli
accessori agli scolari su disegni ed indicazioni sue.
“Ogni grande artista ha generalmente un modo tutto suo di tradurre le idee, tuttavia notevoli
difficoltà impediscono spesso di distinguere in un complesso d’affreschi quali parti siano state
eseguite da un artista e quali da altro, particolarmente per la strettissima collaborazione con cui fino
al ‘500 vennero eseguite le opere.
“Come invece abbiamo esaminato nei nostri affreschi è bene evidente la distinzione tra il
pennello dell’artista principale e quello dei collaboratori.
“Nell’affresco sul muro in genere l’artista sognava l’idea che poi svolgeva in disegni l’ultimo del
quale, detto cartone, aveva le stesse dimensioni del riquadro che bisognava coprire con pittura. Solo
quando questo essendo assai ampio lo impediva, si facevano diversi cartoni, ciascuno per una parte.
“Dovendo lavorare ad affresco su muro l’artista intonacava o faceva intonacare, con calce fresca
quella parte di muro che era sicuro di poter dipingere nella giornata e su quella applicava il cartone,
ripassando su esso con una punta i contorni delle figure e delle cose in modo da imprimerli nella
calce; a meno che non avesse voluto segnare direttamente sul muro le linee principali, nel qual caso
le tracciava con carboncino, misurando le distanze con fili e squadre.
“Noi supponiamo che nella Passione il nostro artista abbia seguito il secondo procedimento.
“Il colore definitivo si otteneva mediante tinte sottoposte e questo lavoro era difficile e lento,
specie nelle carni che venivano preparate generalmente in rosso ed in verde.
“Verso la metà del ‘400 si diffuse il metodo di colorire ad olio ma si usò ancora per molto tempo
una tecnica mista. L’olio si usò nel panneggio, nel paesaggio e negli accessori e la tempera nelle
carni.
“L’olio veniva particolarmente usato per il dipinto su tavola. Dopo che la si era ingessata, si
passavano quattro o cinque mani di colla e su questa secca, si spargeva un miscuglio di colori detto
imprimatura e poi si lavorava con colori macinati con olio di noce o semi di lino.
“Uguale procedimento si usava per la tela ove per evitarvi screpolature si passava pasta di farina
ed olio di noce.
“Permesseci queste considerazioni di carattere generale sulla pittura in genere del tempo che
stiamo esaminando, ci siano ancora tollerate alcune personali supposizioni in merito alla Scuola dei
nostri affreschi di quel glorioso periodo del Rinascimento nel quale l’Italia toccava i più alti fastigi
che la Storia dei popoli ricordi.
“Qualcuno dice che questi nostri affreschi appartengano al Canavesio, per l’affinità con altri di
Briga Marittima, ma noi senz’altro lo escludiamo in quanto Giovanni Canavesio (3) dipinse
particolarmente dal 1482 al 1499, mentre la nostra Confraternita sappiamo eretta solo dopo il 1500.
“Effettivamente del Canavesio abbiamo molti affreschi in Provincia. Particolarmente belli sono
quelli della Chiesa di N. S. della Sorgente di Briga. Sono firmati "Ioane Canavescio. 12 Octobris
1492". Rappresentano la vita e Passione di Cristo.
“Per gentile concessione dell’illustre e benemerita direzione della Sovraintendenza alle Gallerie
in Torino, ne abbiamo esaminate le belle riproduzioni fotografiche.
“Iconograficamente essi rappresentano tutte le caratteristiche degli affreschi esistenti nella nostra
Confraternita; e particolarmente le seguenti scene: Incoronazione di spine - Morte del Redentore -
Deposizione dalla Croce e Sepoltura, ma il pennello é di un altro artista.
“Di comune abbiamo solo la fonte e la concomitanza non può dimostrare altro che i due artisti,
più o meno contemporanei, si sono ispirati allo stesso modello, come era d’uso nel tempo.
“Noi pertanto mentre escludiamo che i nostri affreschi siano del Canavesio, presupponiamo però
che appartengano alla stessa scuola, del ‘400, mentre quelli esterni probabilmente del ‘500.”
Il segretario Mario Rosati conclude la propria trattazione sviluppando l’argomento dell’identità
del pittore e altri temi generali:
“Invano cercai di scoprire chi ne sia stato l’autore, chi ne ordinasse l’esecuzione ed in quale anno
questa avvenne.
“Le mie investigazioni negli Archivi Parrocchiali e Comunali del luogo, e in quello Vescovile di
Asti a cui S. Vittoria stette soggetta per secoli, non sortirono alcun risultato.
“Nell’assoluta mancanza di notizie documentarie dobbiamo quindi contentarci di quanto afferma
la tradizione; orbene secondo alcuni, l’umile Chiesa presente sarebbe stata addietro un magnifico tempietto adornato di pitture per la munificenza d’uno dei signori cadetti del luogo, e, secondo altri,
detta Chiesa avrebbe servito a rappresentazioni sacre, e sarebbe stata così frescata dalla
Confraternita alla quale apparteneva.
“Forse la seconda versione é la più conforme al vero; ma infine, se l’autore e l’origine dell’opera
rimangono ignoti può questo togliere ad essa una parte del suo valore e sminuire la sua importanza
nella storia dell’arte in Piemonte? Essa resta pur sempre un piccolo monumento di quel periodo di
secolo XV, nel quale la pittura finiva d’essere soltanto d’ispirazione e cominciava ad essere anche
di imitazione della natura, e l’ideale ispirato o la natura imitata si fondevano in un tutto armonico
che avrebbe prodotto le grandi opere dei così detti Primitivi.
“L’umile autore dei nostri affreschi, va posto a mio vedere, fra i primi per tempo di questa nobile
schiera.
“Egli dunque non é certo fra i migliori, ma é pur benemerito, perché, mentre in altri luoghi
lontani dalla luce dell’arte viva e diffusa, egli ne accese in questa terra una piccola face, che valse
con l’altre a diradare le tenebre ancora ingombranti il rozzo e tardo Piemonte.”
Poiché il nome del pittore è rimasto sconosciuto, all’autore del ciclo degli affreschi della
Passione della confraternita di San Francesco si assegna solitamente l’attributo di “Maestro di Santa
Vittoria”.
Per concludere, si rimanda alla fotografia di un “Antifonario conservato nella chiesa di San
Francesco”. È tratta dal dattiloscritto del segretario Rosati e la didascalia è di mano dell’autore
stesso.fotografia (a destra)
1 Venne mozzato nel secolo XVII perché pericolante.
2 Il segretario Rosati allude forse al ciclo di affreschi del Canavesio - il Presbiter Johes canavesis -
della cappella di Notre Dame des Fontaines, vicino a Briga (La Brigue), terminato nel 1492.
3 Come si rileva dalla magnifica pubblicazione della Prof. Anna Maria Brizio, il volume X serie
dell’Università di Torino “La pittura in Piemonte dall’arte romanica al 500”.
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UN PATRIMONIO ARTISTICO INESTIMABILE
La Confraternita di San Francesco torna a vivere. Quella che ai tempi dei comuni fu la sede dell’associazione di mutuo soccorso denominata “Confratria Sancti Spiritus” , diventa nel ‘400 sede di una confraternita di “disciplinanti”: San Francesco ne è il patrono mentre la sede è detta casa di Santo Spirito ed è il consueto luogo di riunione del consiglio della Comunità.
Gli interventi di recupero hanno interessato prima di tutto la facciata. Gli arredi originali, vale a dire l’altare e il soffitto a cassettoni in legno decorato, sono stati restaurati insieme al completamento della passerella che unisce la chiesa e la Gipsoteca, che ospita le sculture del contemporaneo Gioacchino Chiesa, originario di Santa Vittoria e residente a Bra.
Il recupero dei preziosi affreschi che illustrano la passione di Gesù e nei quali si riconoscono interventi e ritocchi realizzati nei secoli scorsi è tuttora in corso.

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